Ad Alessi non va giù. Quel vino "fatto al mattino e bevuto alla sera, ottenuto senza nessun patimento", senza la paura del marìn che colpisce la vigna e il lavoro di un anno, la dice lunga su tante cose. E' la condizione di tutta un'esistenza. E dentro c'è tutto: l'amore per una donna, l'autoritarismo del padre, la fabbrica, la produzione bellica, la lotta partigiana.
Prefazione
Chiara Sasso non è scrittrice accomodante. Né tantomeno conciliata. Le sue sono storie aspre, crude, impastate del materiale roccioso, ferrigno, della sua valle. Non l'estenuata narrativa minimalista della più recente generazione, affaccendata a scandagliare un Io ormai vuoto. Né la spocchia di un mondo intellettuale ormai arreso alla "complessità" , e in fuga dalla realtà verso il narcisismo o il tecnicismo. Qui c'è ancora la determinazione coriacea dello scrittore che non rinuncia a misurarsi con lo spessore del tempo. Con la concretezza delle sue figure, accettando di porsi in disparte, di offrire la propria voce narrante a protagonisti reali nella loro profondità storica e umana. E c'è la scelta esplicita, nella ricerca dei temi, della sfida al senso comune. Della provocazione creativa. Mai argomenti edificanti, condivisi. Piuttosto la pratica dell'eresia, l'indagine sul rimosso, su ciò che viene tenuto fuori dalla memoria legittimente dell'ordine esistente, dalla retorica dell'agire conforme, nella convinzione che lì, sui confini della società bene ordinata, in quella terra di nessuno che raccoglie l'anomalia, l'irriducibilità, l'alterità non degradabile a normalità, si esprimano, ancora, brandelli di autenticità. Sprizzi, in qualche modo, la scintilla di un vero che vale la pena di essere raccontato.
Con In Rosa era stato il labirinto della "lotta armata" ad essere attraversato, mediante il filo di Arianna del sentimento materno, l'unico capace di condannare implacabilmente e insieme di capire e salvare. Ne era emerso un racconto sconvolgente sull'Italia degli anni ' 70, della grande transizione al disincanto e alla post-modernità, quando il Paese era diventato d'un colpo più ricco e più cinico. E sull'impossibilità di restare "innocenti" in quel trapasso. Poi era stato l'universo psichiatrico: il senso della malattia psichica assunto come chiave di lettura del "non senso" sociale. Sempre, in qualche modo, malattia e guarigione. Patologia sociale e collettiva e terapia individuale, soggettiva. Ora è la parabola della memoria che viene affrontata: il destino dell' epopea resistenziale messa "in situazione" nel corso del tempo. Analizzata nel suo confrontarsi, infrangersi e ricomporsi nell'impatto col mondo che ha creato. Soprattutto narrata da un protagonista esemplare di cui, aldilà dello pseudonimo, ci è offerto un profilo preciso, inciso con tratti efficaci, fino a configurare una biografia interiore che è il vero nucleo tematico del libro.
In questo sta il secondo carattere della scrittura di Chiara Sasso: l'identità dei suoi protagonisti. Sempre figure, per così dire, "liminari", "di confine" , poste dalla forza dei sentimenti che le animano - e dalla durezza delle vite vissute - al di fuori di una normalità ormai estenuata in cui l'intensità appare un crimine e la passione una sconvenienza. Quelle che abitano i suoi racconti non sono entità fantasmatiche. Colpiscono per la loro plasticità, per l'identità forte che le connota. Per il modo con cui "consistono" nel tempo, e spesso "resistono" al tempo. "Inattuali", si potrebbe dire - se l'attualità è la deriva inerte nel presente. E per questo spesso inquiete e inquietanti. Sfide viventi alla quiete del
vivere, alla retorica dei buoni sentimenti, al compiacimento dell'esistente come "migliore dei mondi possibili".
Alessi ne è, da questo punto di vista, un modello. Domina il racconto proprio per la sua autenticità, senza cedimento alle convenzioni, né infingimento. E' raccontato e si racconta come un pezzo di natura. E per questo stona nel mondo delle chiacchiere in cui viviamo, in cui tutto è vero perché niente lo è più realmente, dove le verità durano quanto la prima pagina di un giornale, e può dominare il rumore di fondo televisivo che piega e dispiega i fatti, li afferma e li nega a seconda dello stormir del vento politico. Stona nella immobilità delle sue verità, imbarazzanti perché non piegate alla diplomazia quotidiana, dure perché affondate in un mondo storico reale, vissuto, tuttora attivo come fonte di identità.
Alessi ci si presenta così fin da subito, immerso nel suo ambiente, la vigna, la casa di pietra, i campi coltivati con i loro tempi dispotici, l'impegno di un lavoro con ritmi segnati da una natura tiranna, mentre intorno, vertiginosamente, il mondo accelera e si dilata, perde confini e consistenza, giunge a incorporare Kenia e Brasile (da dove arriveranno le monache che, d'un colpo, vanificheranno il lavoro politico di una vita), fino a fare delle Seychelles la residenza dei più vicini parenti. E' ,per certi versi, il simbolo dell'" ultimo uomo" : figura poderosa e insieme tragica, lacerato tra due temporalità incompatibili, che tuttavia s'intrecciano e convivono nella sua biografia, quasi sospesa tra l'atemporalità della Sagra, incombente come un nembo sulla vigna, e la temporalità selvaggia del presente. Tra il tempo lungo, e lentissimo, di un passato quasi immobile ma ancora incombente, incorporato nelle pietre di quella casa appartenuta al Conte Somis, segnato nei simboli padronali impressi ovunque, a memoria di un tempo di servaggio e di miseria; e il tempo breve, quasi istantaneo e incontrollabile della modernità compiuta, di una libertà conquistata e già fuggitiva. In mezzo, tra quei due mondi incomparabili, si snoda la sua esperienza, densa di storia, ispida, per molti aspetti impietosa. L'opposione al fascismo, la poli-ticizzazione, la guerra partigiana, la morte dei propri e degli altri, l'effimera vittoria, il Partito. Un tragitto infinito, dall'assolutezza della miseria e del dominio al protagonismo. Dal feudalesimo alla democrazia. Dalla "natura" alla "storia".
Non si attraversano, in una sola vita, distanze così grandi, senza pagare prezzi enormi. Senza dover spezzare ed essere spezzati. Senza uno sforzo inumano di volontà e di orgoglio. In Valle Susa, come ovunque la Resistenza la si sia fatta sul serio, e non si è cercato solo una terra di nessuno per attendere la fine della bufera ma si è provato a contrastare a viso aperto fascisti e tedeschi, le "tre guerre" di cui parla Claudio Pavone - la "guerra nazionale", la "guerra civile" e la "guerra di classe" - si sono intrecciate strettamente. Sono state l'una dentro l'altra, segnando gli uomini, i luoghi, i pensieri. Trasformandoli, anche, fino a renderli irriconoscibili. Alessi testimonia di quel tempo: dei suoi valori, ma anche delle sue durezze, delle sue difficoltà, senza retorica, con spontaneo realismo. Può farlo, perché la sua banda fu una delle più organizzate e combattive. Ma testimonia anche, e soprattutto, delle sordità del nostro tempo presente. Della difficoltà di comunicare l'esperienza di ieri.
"Come si fa a spiegare adesso?" Come si fa a parlare all'oggi di quel mondo di ieri che con tanta rabbia, e forza, si è contribuito a superare? Come si fa a spiegare a un pubblico ormai forgiato dalla televisione, che da una guerra civile non si esce intatti come eroi dei fumetti. Che una guerra è una
guerra, non un gioco elettronico con effetti speciali. Che quando si combatte sulla porta di casa, una spia può essere fatale a un intero nucleo famigliare, un'esitazione può costare la vita a un'intera banda, e manca anche il tempo di riflettere? Come si fa, soprattutto, a comunicare lo spessore di un'esperienza storica collettiva nel momento in cui i tradizionali organizzatori di quella memoria collettiva, la "casa comune" costruita con tanti sforzi, si disgrega e scompare?
Il libro di Chiara Sasso non è un libro di memoria. E' un documento sofferto sull'oggi. Sulla sua evanescenza e futilità. Sulla sua incapacità di pagare i propri debiti ai sacrifici di ieri, e finanche di ascoltare il proprio passato prossimo. In Alessi che continua a seppellire i propri compagni di lotta, in pellegrinaggio laico da un funerale all'altro, a ricordare le vite scomparse, a legarle testardamente a quel momento alto, di protagonismo storico, che furono i venti mesi di guerra partigiana, c'è, tutt'intero, il simbolo di questa solitària lotta contro il tempo. Di questo tentativo di salvare dal naufragio nell'inessenzialità del presente tracce di passato storico denso, tenace. Ma c'è anche il segno di una distanza forte, di una separatezza: è il vecchio mondo, l'antica tradizione contadina, la forza di quelle pietre, di quelle viti torte che pretendono ogni sera il proprio prezzo, dopo ogni pioggia una nuova fatica, che si separa dal nuovo che pure ha contribuito a creare. Che ne dichiara l'inconsistenza e la
vanità.
Marco Revelli
|